Il fenomeno dell’Open Source sta mutando radicalmente il panorama informatico, influenzando il modo in cui gli utenti si approcciano al mondo IT.

Le origini di tale fenomeno possono essere ricondotte a due grandi personaggi: Bill Joy, fondatore della Berkley Software Distribution (una versione avanzata di UNIX) che costituisce il primo vero sistema operativo Open Source, e Richard Stallman, fondatore della Free Software Foundation (FSF), un’organizzazione senza fini di lucro per lo sviluppo e la distribuzione del software libero. Secondo la visione di Stallman, impedire la libera circolazione del software rappresenta un grave impedimento allo sviluppo e alla divulgazione della ricerca e delle innovazioni tecnologiche. Per tal motivo Stallman ha introdotto il concetto di “copyleft” (in contrapposizione alla tradizionale nozione di “copyright”): in sintesi, diversamente dal copyright che tende a tutelare il diritto d’autore anche attraverso limitazioni all’accesso della conoscenza, il copyleft intende proteggere il più generale diritto della collettività a usufruire dei prodotti dell’innovazione.

In quest’ottica, dunque, l’Open Source non va considerato semplicemente come un espediente volto a eludere il problema relativo all’acquisto (e all’utilizzo) di un software proprietario, bensì deve essere interpretato come una vera e propria presa di posizione a favore della libertà di circolazione (che a sua volta favorisce l’implementazione di significativi miglioramenti al programma, in quanto un Open Source immesso “sul mercato” è un programma che è stato precedentemente testato e vagliato da numerosi programmatori, i quali hanno avuto modo di scoprire ed eliminare i bug ed eventuali errori) e dello scambio di idee, in modo tale da consentire una crescita in grado coinvolgere tutta l’utenza.

Come affermato al WSO2Con Europe 2015 da Simon Phipps (direttore di Wipro Technologies), non esiste una definizione univoca di Open Source; tuttavia, è possibile rappresentare tale nozione utilizzando alcuni concetti-chiave:

  • ridistribuzione gratuita del software;
  • possibilità di sviluppare lavori derivati (modifiche o estensioni);
  • disponibilità universale del codice sorgente;
  • integrità del codice sorgente dell’autore;
  • nessuna discriminazione nei confronti di persone o gruppi;
  • nessuna discriminazione nei confronti di specifici campi d’impiego;
  • mantenimento di tutti i diritti attraverso la ridistribuzione del software;
  • licenza non specifica per un singolo prodotto;
  • licenza che non va a limitare altri software;
  • licenza definibile come “technology-neutral”.

L’Open Source si fonda su quattro concetti fondamentali:

  • Utilizzo: utilizzare liberamente il software, senza alcuna implicazione per il proprio business ed essendo liberi di modificare le proprie soluzioni ogni qualvolta in cui l’ambiente di business subisce dei cambiamenti.
  • Studio: studiare il software attraverso l’utilizzo di esperti qualificati, mediante l’utilizzo di competenze presenti a ogni livello e tramite la conoscenza intima e approfondita dei propri prodotti.
  • Miglioramento: implementare e migliorare il software, senza alcun ostacolo o barriera all’innovazione.
  • Condivisione: favorire la condivisione del software, attraverso attività di deploy senza barriere, mediante la creazione di un fitto ecosistema di partner e attraverso un diffuso utilizzo da parte degli utenti finali.

Attualmente il 78% delle imprese presenti sul mercato utilizza software Open Source e ben il 55% ritiene che l’Open Source sia più sicuro e affidabile rispetto al software proprietario. Secondo alcune stime (Fonte: “The Future of Open Source survey 2015”), nei prossimi tre anni l’88% delle imprese contribuirà alla crescita dell’Open Source. Infatti, come affermato da Phipps, “Open Source is now everywhere”: l’Open Source sta influenzando il mondo web, i device utilizzati, le esigenze dei consumatori, così come le esperienze di business vissute dagli utenti stessi.

Ma quali sono dunque i principi portanti dell’Open Source?

  • Flessibilità: la flessibilità costituisce l’origine del valore del software Open Source.
  • Etica: l’etica è volta a favorire lo sviluppo di una community in grado di promuovere l’innovazione.
  • Autorizzazioni e permessi (concessi in anticipo) che contribuiscono a rendere l’Open Source una realtà fondata sulla collaborazione e sulle interconnessioni insite tra gli utenti.

La flessibilità e la creazione di una community in cui gli utenti collaborano e contribuiscono al miglioramento del software sono dunque i pilastri portanti del mondo Open Source. All’interno di questo contesto il “business value” può essere considerato come la prima derivata del software Open Source.

Dunque, in cosa consiste il business value dell’Open Source?

  • Ridare potere ai CXO (Chief Experience Officer). Il controllo infatti ritorna:
    • Su tutto il bilancio
    • Su tutta l’architettura.
  • Favorire gli sviluppatori, grazie a una maggiore flessibilità. E in tal caso, per flessibilità s’intende:
    • Avere a disposizione più opzioni da più fonti
    • Avere il pieno controllo dell’architettura.
  • Favorire la libertà e la condivisione del software, incoraggiando lo sviluppo e l’innovazione.

L’Open Source offre, dunque, un maggior valore rispetto al software proprietario, in quanto consente di controllare personalmente l’architettura, il budget e la propria strategia IT senza il bisogno di dover cedere il controllo a un venditore esterno, ma anzi permettendo di favorire lo scambio di informazioni e la condivisione delle conoscenze all’interno di una open community.

Per maggiori approfondimenti segui la presentazione sul business value dell’Open Source tenuta da Simon Phipps al WSO2Con Europe 2015.